Decorazioni Dekorationen

I tanti volti del Natale nei quartieri di Bolzano

Piccola rassegna delle tradizioni natalizie italiane radicate nel capoluogo altoatesino

Excursus sulle origini del caleidoscopio culturale bolzanino

L’unicità del capoluogo altoatesino si esprime anche in questo: durante il periodo natalizio, a fianco delle radicate tradizioni tipicamente sudtirolesi, sono mantenute e vissute anche molte diverse tradizioni italiane, rispecchiando in pieno quella che è la peculiarità del capoluogo, dove, accanto al gruppo linguistico tedesco e alla piccola ma variegata minoranza ladina, la maggioranza della popolazione – circa il 75% - è di madrelingua italiana, ma di diversa provenienza regionale. Più recentemente si è aggiunto un cospicuo e diversificato gruppo di cittadini di provenienza straniera. Un vero caleidoscopio culturale, derivato dalla peculiare storia di Bolzano, che sinceramente non è riscontrabile altrove e rende la nostra città ancora più unica e interessante.

I bolzanini italofoni sono distribuiti in tutti i quartieri cittadini, anche se sono in minoranza nei quartieri più storici (Gries, Rencio, Centro Storico). A parte una piccola minoranza trentina, che era già presente prima dell’annessione dell’Alto Adige all’Italia (1919), la maggioranza degli italiani arrivò a Bolzano a partire dagli anni ’30, soprattutto dal Veneto ma anche dal Sud Italia, spinti e favoriti da una politica di industrializzazione e di italianizzazione dell’Alto Adige. Con sé portarono poche cose e tante speranze, ma soprattutto un insieme di tradizioni che vengono tramandate di generazione in generazione e sono tutt’oggi sentite e vissute dagli anziani e dai loro discendenti. Più recentemente, si è ulteriormente rafforzata in città la presenza di cittadini italiani di origini campane, siciliane e pugliese. 

Regione che vai, tradizione che trovi

Vediamo allora quali sono le tradizioni natalizie regionali italiane, in parte ricordate e vissute anche a Bolzano e in Alto Adige.

La Befana vien di notte…
La figura della Befana, in realtà, è popolare in tutte le regioni italiane, anche se è particolarmente nota a Roma, dove si dice viva tra i tetti di Piazza Navona, e anche a Bolzano viene festeggiata con cortei e sfilate. Una delle leggende che raccontano la sua origine vuole che i Re Magi, una fredda notte d’inverno, abbiano fermato per strada una vecchietta per chiederle indicazioni per Betlemme invitandola poi ad unirsi a loro. La vecchina rifiutò di seguirli, ma presto se ne pentì, e di lì iniziò a bussare di casa in casa, portando dolcetti ai bambini, nella speranza di incontrare Gesù Bambino. Da qui l’usanza di mettere una calza vicino alla finestra o – per chi ce l’ha – al caminetto, nella quale, la notte tra i 5 e il 6 gennaio, la simpatica vecchietta, che svolazza di casa in casa a cavallo di una scopa magica, lascia ai bambini dolcetti, e anche un po’ di carbone (dolce). La Befana in giro per l’Italia si chiama in vari modi (a Modena la Barbasa, a Pavia la Vecchia, nel Veneto la Marantega o la Redodesa ecc.) e la sua festa cade naturalmente il 6 gennaio, all’Epifania, che “tutte le feste si porta via”, e infatti sancisce un po’ ovunque la fine delle festività. A proposito di rime e filastrocche, quella più popolare che la riguarda dice: “La Befana vien di notte, con le scarpe tutte rotte, il cappello alla romana, viva, viva la Befana!”

Santa Lucia, la notte più lunga che ci sia…
Si celebra il 13 dicembre, che prima della riforma dell’antico calendario giuliano (1582) coincideva con il solstizio d’inverno: da qui il popolare detto che quella di Santa Lucia sia la notte più lunga dell’anno. La martire siracusana, uccisa il 13 dicembre 304 nelle persecuzioni ordinate dall’imperatore Diocleziano, si narra avesse rifiutato di sposare un pagano, dopo aver donato tutte le sue ricchezze ai poveri, e per questo fu denunciata alle autorità e quindi martirizzata. Santa Lucia è una festa molto sentita in Sicilia, in particolare Siracusa, città di cui è anche patrona, ma anche in altre regioni italiane del nord, dove prende il posto di Babbo Natale nel portare i doni ai bambini, come accade in alcune località del Veneto, della Lombardia, del Friuli Venezia Giulia e dell’Emilia Romagna. Per ingraziarsela, i bambini la sera prima preparano per la santa un po’ di vino, biscotti, ma anche paglia e cibo per l’asinello che fedelmente l’accompagna. Anche in Trentino Alto Adige e a Bolzano Santa Lucia è ricordata in vari modi. Per i bambini delle comunità che la festeggiano è un po’ come un gradito anticipo del Natale… cui certo non rinunciano.

Presepe o albero di Natale? Lo stile italiano
La diffusione in Italia dell’albero di Natale risale alla seconda metà dell’Ottocento, quando la Regina Margherita di Savoia lo volle per il palazzo del Quirinale e la tradizione di origine nordica divenne presto una moda seguita in tutta la penisola. Una curiosità: a Bolzano troviamo nelle case sia l’albero di Natale con i tipici addobbi tirolesi, con piccole mele, candele, biscotti e stelle di paglia, sia quelli decorati secondo il gusto più italiano, con palline di varie forme e colori e festoni dorati o argentati… e ovviamente tante vie di mezzo. La tradizione comunque vuole che l’albero venga addobbato il giorno dell’Immacolata Concezione, l’8 dicembre (anche se a Bari lo si allestisce il 6 dicembre, festa di San Nicola, e a Milano il 7 dicembre, festa di Sant’Ambrogio) e lo si disfa il 6 gennaio.
Diffusissimo, in aggiunta o in sostituzione dell’albero di Natale, anche il presepe. Ricordiamo che il primo presepe vivente fu allestito a Greccio, in Umbria, nella notte della Vigilia di Natale 1223 da San Francesco d’Assisi, di ritorno da un viaggio in Terra Santa. Il primo presepe con statuine, o uno dei primissimi, fu opera invece dello scultore senese Arnolfo di Cambio che, nel 1289, realizzo otto statuette in legno raffiguranti la Sacra Famiglia, il bue e l’asinello e i Re Magi, conservate oggi nella chiesa di Santa Maria Maggiore a Roma. Gli artisti napoletani, tra il Seicento e il Settecento, arricchirono la Natività con scorci di vita quotidiana e personaggi tratti dall’attualità realizzati in terracotta. La tradizione partenopea vive nelle botteghe di Via San Gregorio Armeno e Napoli è considerata tutt’oggi la patria dei maestri presepai.

La zampogna e le melodie natalizie
Non più così frequentemente come una volta, ma ancora oggi anche a Bolzano è possibile nel periodo prenatalizio imbattersi negli zampognari, ovvero i suonatori di zampogna, uno strumento musicale arcaico a fiato, caratterizzato da più canne sonore e dal suono piuttosto penetrante, diffuso soprattutto in Italia centro-meridionale. In particolare durante il periodo della Novena dell'Immacolata Concezione (dal 29 novembre al 7 dicembre) e del Natale percorrono le vie cittadine, in abiti tipici pastorali, suonando melodie natalizie tradizionali e chiedendo un’offerta. Di solito suonano in coppia, uno la zampogna vera e propria e l’altro la ciaramella o altri strumenti a fiato e si dice – ma non è vero – che portino il brutto tempo… La coppia di zampognari ha comunque un posto fisso nel presepe napoletano, vicino alla capanna, e nelle tradizioni natalizie italiane.

Sant’Ambrogio, a Milano ma non solo
I milanesi festeggiano il patrono di Milano con un giorno di vacanza: i religiosi assistono alla messa nella Basilica, mentre gli altri visitano il tradizionale mercato degli Oh Bej! Oh Bej! con caldarroste, vin brulè e bancarelle che offrono presepi e decorazioni natalizie. Aurelio Ambrogio nacque a Treviri, in Germania, nel 339-340 d.C., da una ricca famiglia romana. Trasferitosi a Roma, divenne avvocato e poi pretore. Intorno al 370 fu nominato governatore della Liguria e dell’Emilia, e si trasferì a Milano. Il 7 dicembre del 374 venne nominato vescovo, secondo la leggenda quasi “a furore di popolo” che lo ammirava la grande eloquenza: è da allora che, ogni anno, il 7 dicembre si festeggia il santo patrono di Milano. Sant'Ambrogio è considerato il protettore delle api e degli apicoltori, e quindi di tutte le persone operose. Per quale motivo? Narra la leggenda che, quando era ancora un bambino, mentre dormiva nella sua culla, uno sciame di api si posò sul suo viso e gli entrò in bocca, senza però pungerlo.
Ma che succede a Bolzano a Sant’Ambrogio? Storicamente, il cosiddetto “ponte di Sant’Ambrogio” (quando il calendario lo permette) fa registrare una marcata affluenza di turisti, che sfruttano appunto la festività in più per un giro al Mercatino di Natale. A parte questo, gli apicoltori ricordano il santo e ne invocano la protezione con una funzione religiosa.

San Nicolò o Nikolaus?
Certamente il Nikolaus e i suoi spaventosi Krampus sono una tradizione del periodo pre-natalizio molto radicata in Alto Adige e a Bolzano, va però brevemente ricordata la storia di San Nicolò, che è uno dei santi più venerati nel mondo e in Italia lo si festeggia soprattutto a Bari, città di cui è patrono, e nelle zone di Trieste, Gorizia, basso Friuli, Istria e Alto Adige (zone ex Impero Austro-Ungarico), dove porta piccoli doni, mandarini e dolci ai bambini al loro risveglio, il 6 di dicembre. Dal culto di San Nicola deriva quello di Santa Klaus, o semplicemente Babbo Natale, che viene festeggiato tradizionalmente il 25 dicembre.
Nicola nacque intorno al 270 d.C. in Medio Oriente nella regione della Licia (l’odierna Turchia) da una nobile e ricca famiglia. Rimase orfano in tenera età e usò la sua ricchezza per aiutare i poveri. Divenne sacerdote nella città di Myra, sempre nella regione della Licia, dove più tardi divenne vescovo. A San Nicola (o San Nicolò, a seconda delle diverse inflessioni regionali) sono attribuiti molti miracoli. Morì a Myra il 6 dicembre di un anno imprecisato (probabilmente il 343). Il 9 maggio 1087, alcuni marinai baresi presero i resti del santo da Myra, che era stata conquistata dai musulmani, e li portarono nella città pugliese. Qualche anno dopo, la Serenissima riuscì a trafugare altre ossa del santo trovate vicino alla sua prima tomba a Myra e le depositò nella chiesa di San Nicolò al Lido di Venezia.

Filastrocca friulana di San Nicolò

San Nicolò de Bari
la festa dei scolari
se i scolari no fa festa
ghe taieremo la testa!

Santo Stefano
Il 26 dicembre, giorno di Santo Stefano, chiude le feste natalizie vere e proprie e in molte famiglie italiane ci si incontra ancora, magari a tavola, per finire gli avanzi dei cibi prelibati consumati il giorno precedente. In Puglia, a Putignano, dove sono conservate le reliquie del santo, ha luogo la Festa delle Propaggini, un festival degli artisti di strada, che dà inizio al “Carnevale più lungo del mondo”. Anche a Venezia Santo Stefano segnava un tempo l’inizio del Carnevale che si concludeva il mercoledì delle ceneri.
Anche in Alto Adige Santo Stefano viene ricordato in modi diversi, soprattutto nella cultura contadina. La giornata viene sfruttata per fare visita ai parenti e ai figliocci. L’acqua benedetta a Santo Stefano, in alcune località, viene usata per benedire i campi e i masi per proteggerli dalle frane. Stephani è anche noto come il primo giorno delle danze, dopo il periodo dell’Avvento.

Come si festeggia il Natale nelle famiglie italiane? E a Bolzano?
Come in tutto il mondo dove lo si festeggia, il Natale è l’occasione principe per trascorrere ore di festa e serenità insieme alla famiglia e per incontrare gli amici più cari. Con qualche piccola differenza. Nell’Italia del Nord si festeggia più il giorno di Natale stesso, al Centro Sud più alla Vigilia, dove il cenone può ancora oggi concludersi con il gioco della Tombola fra tutti i familiari. Molto diffusa la tradizione degli aperitivi con gli amici: a Bolzano questi momenti di incontro animano il Mercatino di Natale e i locali lungo le vie cittadine abbellite da sontuose luminarie nelle serate prenatalizie, culminando alla Vigilia. Al più tardi con la frequentatissima Santa Messa serale del 24 dicembre nelle diverse chiese cittadine, il tutto si riconduce all’intimità familiare e sono i bambini, con i loro canti e la loro trepidante attesa, a ritagliarsi il ruolo di protagonisti. Come è giusto che sia.

Il Natale a tavola
Che si tratti del cenone della Vigilia o del pranzo di Natale, va da sé che sulle tavole festose degli italiani questo è il momento dove si condividono con la famiglia o con gli amici le specialità culinarie regionali più prelibate. Ma quali sono? Impossibile qui elencarle tutte, ma possiamo iniziare dare uno sguardo ai primi, con la pasta fresca farcita, come i tortellini in brodo tipicamente emiliani, i classici cannelloni ripieni di carne o di ricotta e spinaci, ma anche specialità più tipicamente  regionali come i ravioli con il tucco genovesi, gli agnolotti del plin piemontesi, i casoncelli bergamaschi, i culurgiones de casu friscu sardi; immancabili anche le paste al forno, dal classico pasticcio al ragù, ai vincisgrassi marchigiani. Apprezzatissimi gli gnocchi di patate, per esempio quelli friulani in salsa di formaggio Montasio, la pasta fresca condita, come le toscane pappardelle al cinghiale e funghi porcini, i rintrocili abruzzesi, gli spaghetti con mollica e alici calabresi, quelli alla nursina di Norcia, ma anche i risotti, come quello mantovano alla salsiccia e quello trevigiano con il radicchio rosso. Tra le zuppe, va senz’altro annoverata la minestra maritata, simbolo delle festività natalizie napoletane, ma anche la zuppa di cardi molisana. Tra i secondi troneggia in molte cucine regionali il cappone, ovvero il gallo castrato, farcito in modi diversi e dal quale si ricava anche il brodo, in alcune regioni il capitone, ovvero la femmina dell’anguilla, in altre (come in Puglia o in Basilicata) il baccalà. Le lenticchie le troviamo insieme allo zampone e al cotechino, in tempo soprattutto in Toscana, Umbria ed Emilia, oggi un po’ ovunque, a Natale ma specialmente a Capodanno. Tante altre sono le specialità natalizie regionali, dal falsomagro siciliano, alla brovada e muset friulana… Veramente una ricchezza gastronomica culinaria enorme, sulla base di ricette tramandate nelle famiglie di generazione in generazione e che ancora resiste, almeno in parte, all’appiattimento della globalizzazione.

Panettone o pandoro? Meglio tutti e due!
Non c’è pranzo o cena di Natale che non si concluda con il famoso taglio del panettone, o del pandoro, che accompagnano spesso anche i brindisi tra colleghi e amici. Il dilemma è sempre lo stesso: meglio l’uno o l’altro? La risposta al quesito non arriverà mai, per questo nella maggioranza dei casi sulle tavole sono presenti ormai entrambi.
Il panettone ha origini milanesi, si dice che il suo nome derivi da “Pan del Toni”, un garzone di corte che aveva arricchito il pane con dell’uvetta per servirlo come dolce. Il Pandoro invece sembra avere origini veneziane, e l’oro sarebbe il colore conferito dalle uova all’impasto. Pur trattandosi di dolci simbolo del Natale italiano, squisite versioni artigianali possono essere acquistate presso i pasticcieri bolzanini, vicino alle specialità più tipiche sudtirolesi.
Va però qui ricordato che, pur essendo molto diffusi e celebri anche all’estero, pandoro e panettone non sono gli unici dolci natalizi italiani: anche qui impera la differenza tra regione e regione e le specialità sono infinite: dai dolci contenenti fra l’altro frutta secca e canditi, come lo zelten trentino, il panspeziale bolognese, il pangiallo romano, i fichi chini calabresi, il bostrengo marchigiano, la bisciola valtellinese, ad altre specialità, come gli struffoli napoletani, i ricciarelli toscani, al torrone siciliano, il tronchetto piemontese, la gubana friulana, il parrozzo abruzzese, le cartellate pugliesi, la seada sarda, solo per citarne alcune. E chi più ne ha, più ne metta. Quel che è certo, la varietà di dolci non mancheranno mai sulle tavole natalizie italiane, e nemmeno le calorie.